I Siotto Pintor erano i tipici esponenti di un ceto che avvertiva tutta l’angustia della separatezza in qualche modo risultante dall’antica autonomia del Regno di Sardegna. Il protagonismo assunto dai due – soprattutto da Giovanni – nelle manifestazioni cagliaritane del novembre 1847, e poi negli accesi dibattiti che si aprirono nel dopo-Statuto fino alle loro elezioni alla Camera, si può spiegare, infatti, con i risvolti di personalità maturate sotto l’antico regime, ossia intellettuali aderenti a quella tendenza liberal-moderata spesso soffocata sotto il controllo di una pesante censura culturale, e contemporaneamente grandi proprietari terrieri – condizione unificante allora all’élite politica sarda – interessati alle speculazioni fondiarie che il riscatto dei feudi lasciava intravedere, e tuttavia frenate dalla politica ministeriale e dalle antiche consuetudini d’uso collettivo delle terre.

villa siotto

Giuseppe Siotto Pintor, ripetendo quanto aveva già detto alla Camera, le definirà nella sua lettera indirizzata agli elettori del collegio di Isili «assurdo ed immorale comunismo» praticato da chi «pur non essendo dottrinari galli, teutoni o slavi conosce l’alfa e l’omega di un ordinamento sociale che seppe accordare la pratica del comunismo con la proprietà individuale od ereditaria e con le leggi che lo garantiscono».

Il progressivo controllo sulle terre d’uso comunitario nelle plaghe dell’hinterland cagliaritano e sugli usi civici che in esse gravavano diventa un importante impegno di Giuseppe una volta conclusa la sua breve parentesi parlamentare. Nel 1854 acquistò dal Regio Fisco 36 ettari di terreno aperto presso Sarroch, a 25 km da Cagliari, e appartenenti all’antica Baronia di Capoterra degli Zapata, al prezzo di 3300 lire. Si trattava di un significativo ampliamento della proprietà preesistente, poiché già un decennio prima Vittorio Angius registrava con un certo risalto la distruzione da parte dei pastori del villaggio dei muri con cui «il cav. D. Giuseppe Siotto chiudeva il suo terreno». In questo periodo, quindi, si sposta l’asse degli interessi economici familiari, e accanto alla tradizionale attività professionale, accademica e forense, compare sempre più consistente quella imprenditoriale agricola. È la conseguenza delle nuove normative, e in particolare della legge del 27 novembre 1852, che riformava le disposizioni del regolamento del 1839 per quanto concerneva la cessione dei terreni demaniali, creando un notevole impulso agli acquisti di nuove terre.